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Amanda Knox: “La verità sui miei rapporti lesbo in carcere”

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Amanda Knox: "La verità sui miei rapporti lesbo in carcere"Amanda Knox racconta i suoi rapporti in prigione in un articolo su “Broadly”: le dichiarazioni fanno il giro del mondo perché riguardano anche l'universo LGBT.

Amanda Knox, resa nota dall'omicidio di Perugia, per cui era accusata della morte di Meredith Kercher, dopo essere tornata in libertà torna a far parlare di sé, a seguito di un articolo pubblicato su Broadly, in cui descrive i rapporti sessuali ed umani in carcere. La bella americana rivela, infatti, di aver sviluppato una relazione con un’altra detenuta, che però voleva trasformarla in un rapporto sessuale. La donna in questione, che per una questione di privacy è stata chiamata semplicemente Leny, sembrava essersi presa una bella sbandata per la Knox.

La 29enne incontrò Leny al terzo dei quattro anni che ha passato in prigione. Leny, descritta come lesbica, spacciatrice di una piccola città: «Mi raccontò che dell’Italia conosceva le sentenze e la chiusura mentale. Mi fu subito simpatica. A 14 anni, nella mia scuola cattolica, si diceva che fossi lesbica e mi emarginarono. In seguito sostenni la comunità LGBT. Quando glielo dissi, fece un sorriso a trentadue denti. Mi stette dietro come un cagnolino, mi seguiva in cortile, dove facevo gli esercizi, e così fu ogni giorno».  «All’inizio Leny non tentò di sedurmi. Cercava solo qualcuno che la distraesse dalla solitudine. E’ normale. Contrariamente a quanto si pensa, i rapporti in carcere non riguardano il sesso. E’ come fuori. Leny cominciò a desiderare più di un’amicizia, voleva prendermi per mano, un giorno disse: 'Ho già cambiato alcune donne. Posso farti cose che gli uomini non fanno'. Le dissi che non mi avrebbe cambiata e lei mi baciò».

Poi conclude: «A Capanne non appartenevo a nessun gruppo. Osservavo come i gruppi erano strutturati: gerarchici, come famiglie allargate, le nigeriane si chiamavano ‘mama’, le romane ’cugine’. Ognuna aveva una cotta. Si passavano letterine d’amore, si regalavano disegni con i fiori, c’erano dolorose separazioni, talvolta risse fra ex e nuove fidanzate. Alcune si comportavano da adolescenti, altre da sposate. La maggior parte di loro era eterosessuale, gay per circostanza. L’attività sessuale non era determinante in una relazione, importante, ma non fondamentale. A contare era il bisogno di contatto umano, quello che la prigione ti nega. Le relazioni omosessuali sono frequenti in prigione ma l’intimità è formalmente vietata. Si rischia la punizione o il trasferimento. Dichiararsi omosessuali autorizza gli agenti a molestarti, a insultarti, a dirti quanto sei disgustosa. Ci intrigano i rapporti nella prigione, sono misteriosi e le trasgressioni ci rendono curiosi. L’idea del ‘Gay for the stay’, del diventare gay durante il soggiorno dietro le sbarre, è una semplificazione che mostra quanto non si comprenda la vita lì dentro ed è un modo per sottovalutare la natura umana».

Photo Credits: Facebook

 


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